Anzitutto un ringraziamento al Ministro per la pronta risposta alle dieci domande che l’Associazione Bianchi Bandinelli gli ha inoltrato, fatto che denota quanto meno attenzione al dibattito che si sta sviluppando nel nostro Paese.
Restano però aperte le questioni di fondo. Il Ministro parla di una riforma che il Paese aspettava da decenni, senza sapere però che l’unica grande vera riforma sarebbe stata quella dell’aumento delle risorse economiche e del personale per il Ministero: la rivoluzione (questa sì) che il Paese aspettava da decenni. Si può obiettare che in un periodo di crisi si doveva operare necessariamente una revisione della spesa, ma proprio nei periodi di crisi – la storia dovrebbe insegnare – gli investimenti pubblici hanno sostenuto la ripresa, e il nostro patrimonio culturale aveva e ha tuttora solo bisogno di risorse per generare altre risorse, come studi economici autorevoli e condivisi affermano da tempo.
Restano aperte questioni che riguardano la filosofia di base di questa riforma, che ignora il lavoro, le idee, le proposte, le esperienze di chi da sempre s’impegna nella gestione e valorizzazione del nostro patrimonio, con una concezione di valorizzazione assai lontana da quella malintesa manageriale e da operatore turistico che sembra essere l’idea portante della politica culturale dei nostri governi da molti anni a questa parte. Una filosofia, quella di questa riforma, che insegue modelli internazionali che nulla hanno a che vedere con la realtà italiana: i grandi musei di Parigi, Londra, New York – che oltretutto non sopravviverebbero un giorno di più se finissero i finanziamenti pubblici – sono tutt’altra cosa rispetto al nostro sistema museale, diffuso e integrato nell’intero territorio nazionale, che fa dell’Italia un unico grande e immensamente ricco museo e che come tale andrebbe gestito e valorizzato.
Una concezione, quella del Ministro, che cerca all’esterno qualcosa di già disponibile all’interno e identificabile nei tanti direttori dei nostri luoghi della cultura (musei, aree archeologiche, biblioteche, archivi) che da anni riescono a gestire e valorizzare in modo encomiabile il patrimonio loro affidato, pur nella sempre più cronica carenza di risorse economiche e umane, perseguendo con passione e impegno il vero concetto di valorizzazione, quello che accresce la cultura, nonché la coscienza civile e sociale, dei cittadini e di conseguenza favorisce la crescita economica.
Restano le perplessità su una riforma che rafforza la burocrazia centrale a discapito della presenza sul territorio, che mortifica le singole professionalità e competenze, che complica la gestione amministrativa e i rapporti gerarchici, che indebolisce la missione per cui è nato il Ministero stesso e specialmente per quanto riguarda la tutela, ulteriormente indebolita dalla legge cosiddetta “Sblocca Italia”, che interviene a gamba tesa sulle competenze del MiBACT nell’inspiegabile silenzio di chi ne è il titolare pro-tempore.
Sono questi gli argomenti fondamentali da affrontare e da cui discendono le scelte che si stanno attuando, scelte fallimentari che porteranno in breve alla necessità di rivedere completamente – per l’ennesima volta – l’assetto di un Ministero che altrimenti sarà sempre più inutile.
L’Associazione Bianchi Bandinelli continuerà comunque nei prossimi giorni e nelle prossime settimane a porre questioni e a tenere vivo il dibattito sui grandi temi e sulle questioni specifiche.